‘A Piazzetta e ConVivio sono anche BORGODIFIUME

   Cibo da piccole aziende, freschezza e stagionalità dei prodotti, semplicità d’elaborazione.

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Proprietà nutrizionali del baccalà

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Parliamo di CIBO...

                 “Non riesco a sopportare quelli che non prendono seriamente il cibo”                                                                                                                             Oscar Wilde

Per quanto riguarda il cibo: le parole d’ordine sono identità, semplicità e consapevolezza guardando alla qualità delle materie prime, alla filiera corta e ai prodotti del territorio buoni per l’ambiente, buoni per la salute e giusti nel prezzo. Il cibo assume un ruolo decisivo all’interno di uno stile di vita sano e equilibrato (www.ledonnescelgono.org).

Purtroppo consumiamo eccessive quantità di carne, cereali raffinati, grassi saturi e transgenici, e beviamo bevande gasate. Per quanto riguarda poi, la carne e i trasformati della carne, l’allevamento intensivo è ovunque. Circa due animali su tre vengono allevati intensivamente (più di 50 miliardi ogni anno). Questi sistemi intensivi puntano a massimizzare la produzione a discapito di tutto il resto. Gli animali vengono trattati come macchine per la produzione di cibo e spesso allevati in isolamento. L’allevamento intensivo dipende, inoltre, da grandi quantità di risorse preziose come mangimi a base di grano, acqua, energia e medicinali (antibiotici). L’allevamento intensivo non è dannoso solo per gli animali: è pericoloso, ingiusto e sporco, con impatti estremi che vanno dal cambiamento climatico, alla perdita della biodiversità, alle malattie, fino all’insicurezza alimentare e alla scadente qualità nutrizionale.  

Quante volte capita che ci domandiamo cosa ne pensiamo del fast food, se mai ne abbiamo assaggiato il prodotto, se mai l’abbiamo consigliato. Naturalmente preferiamo il cibo da “street” che non da “fast”, anche perché il cibo da strada non ha fatto viaggi lunghi per arrivare, non ha inquinato territorio e ambiente per poter essere prodotto, non ha fatto il giro del mondo per poter essere venduto con un gusto uguale e in eguale misura nelle bancarelle di tutto il mondo. Del cibo si gode, del cibo si resta senza, del cibo ci si ammala, del cibo si butta.

No fast food, no happy hour!  Meglio il cibo di strada e l’aperitivo del Sud!

L’aperitivo al Sud è particolare e tratteggia un universo a sé rispetto al resto d’Italia. La moda dell’happy hour comincia a diffondersi – la si rileva nei capoluoghi e ovunque vi sia un grande turismo estivo – mentre l’aperitivo tradizionale è declinato come continuum dei pasti, proprio per i tempi lunghi che vengono concessi alla degustazione. In quasi nessun caso esiste l’apericena, perché l’alimentazione frugale e poco curata non è insita nella cultura culinaria locale. È però ben più importante il consumo di alcolici accompagnato da prodotti tipici, tra cui spiccano vino bianco e rosso abbinati a  crespelle, frittata, parmigiana, pecorino e salumi locali. Si tratta di un aperitivo molto ricco a livello di sapori, quasi più della cena stessa, e spesso volentieri è un modo per innamorarsi dell’enogastronomia locale. Per questo, in estate, l’orario sarà esteso dal tardo pomeriggio a notte inoltrata, con aperitivi veloci inseriti se possibile in contesti di degustazione promozionale. Mentre prima l’aperitivo era vissuto come un momento di stacco tra impegni lavorativi e casa, una pausa veloce prima della cena, un momento per incontrare gli amici e darsi appuntamento al bar prima di andare insieme al ristorante, attualmente e soprattutto in questo periodo di crisi, sempre più persone vedono l’aperitivo food+drink (cibo+birra o vino) come valida alternativa ad una serata al ristorante. Con mediamente 10 euro si avrà la possibilità di passare una serata con gli amici, bere e mangiare qualcosa, anche se ovviamente non si può parlare di una vera e propria cena ma di una soluzione alternativa e più economica alla cena.Tante le idee per l’offerta gastronomica, la più apprezzata e buona è sicuramente quella a km 0 con specialità del territorio d’appartenenza, alcuni presìdi Slow food. Ogni sera poi vini diversi; il tuo calice verrà accompagnato da un’invitante selezione di salumi di Nero di Calabria  (tutti affettati al momento ) o se preferite formaggi pecorini e/o caprini o caciocavalli podolici. 


Esempi di cibo da salvare sono: la tradizionale frittata di patate di Fiumefreddo, con patate Silane. Nonostante sia così chiamata non annovera tra i suoi ingredienti le uova. Piatto dell’antica tradizione contadina preparato solo con patate, origano, basilico, aglio, un po’ di peperoncino piccante, un pizzico di farina ed una spolverata di pecorino grattugiato. Era il famoso “mursieddu” (si prendeva a morsi) che i contadini usavano portare nei campi per colazione insieme al pane e al vino. Altri esempi sono la filiciata (cagliata di latte nelle felci), le polpette di melanzane, i pomodori di Belmonte, le verdure del nostro orto, la caponata, gli insaccati provenienti da allevamenti non intensivi di maiale nero autoctono, senza lattosio e polifosfati, il pecorino e la ‘nduja del Monte Poro, i caprini di Campora, il capicollo grecanico azze anca e il caciocavallo di Ciminà    (  Presìdi Slow Food ). 

I Presìdi Slow Food sostengono le piccole produzioni tradizionali che rischiano di scomparire, valorizzano territori, recuperano antichi mestieri e tecniche di lavorazione, salvano dall’estinzione razze autoctone e varietà di ortaggi e frutta.

Per ottenere il contrassegno “Presidio Slow Food” è necessario che i produttori del Presidio abbiano sottoscritto il disciplinare di produzione del Presidio e siano riuniti in un’associazione (oppure in una cooperativa o in un consorzio che devono recepire le linee ideali generali del progetto e approvare il regolamento del Presidio).

L’adesione a un Presidio è libera: il produttore che vuole aderire a un Presidio deve farne richiesta al responsabile Slow Food del Presidio e al referente dei produttori, impegnarsi a rispettare il disciplinare di produzione, il regolamento del Presidio, aderire all’associazione e, quindi, essere accettato dagli altri membri del Presidio. Un nuovo ingresso nel Presidio deve essere in ogni caso approvato da Slow Food Italia in accordo con la Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus.

Ogni Presidio ha due figure di riferimento:

  • il responsabile Slow Food del Presidio: è un Fiduciario o un membro della Condotta Slow Food del territorio in cui si trova il Presidio, il quale ha un ruolo di coordinamento e raccordo tra i produttori e l’associazione regionale e nazionale Slow Food. Questa figura viene nominata dal Coordinamento regionale di Slow Food. Il Responsabile Slow Food di Presidio non può svolgere attività commerciali legate ai prodotti dei Presìdi.
  • il referente dei produttori del Presidio: è un produttore, oppure un’altra figura nominata dai produttori, ed è il garante del rispetto del regolamento e del disciplinare del Presidio. Si tratta anche della figura di raccordo tra i produttori e Slow Food e deve far parte dell’associazione del Presidio.

L’adesione delle associazioni al progetto avviene tramite il meccanismo dell’affiliazione a Slow Food Italia. Con l’adesione al progetto dei Presìdi, l’associazione dei produttori si impegna a gestire un catastino delle produzioni del Presìdio in cui registrerà ogni anno le produzioni degli associati e tutti quegli elementi utili a esercitare un autocontrollo da parte delle singole associazioni sulle produzioni dei propri associati.

A ogni Presidio sarà assegnata annualmente dalla sede nazionale di Slow Food una quota di affiliazione stabilita secondo fasce predeterminate: con il versamento della quota, i Presìdi che hanno ottenuto negli anni passati sostegno concreto da parte di Slow Food contribuiscono attivamente a sostenere altri piccoli produttori meritevoli di promozione e tutela.
Le fasce di contribuzione sono state individuate incrociando diverse variabili (valore economico della produzione del prodotto presidiato per l’anno precedente a quello in cui si richiede la quota, l’anno di avvio del Presidio, l’area geografica di produzione, la quantità di produttori coinvolti nel Presidio, la tecnica produttiva, la tipologia di prodotto, cioè se si tratta di un prodotto fresco, trasformato oppure misto). Non tutti i Presìdi versano quote di affiliazione: Slow Food si riserva di non chiedere un contributo per la gestione del progetto nel caso in cui il Presidio sia recente o comunque produca in condizioni particolarmente difficili e marginali.
La quota di affiliazione al progetto dei Presìdi sarà versata dall’associazione dei produttori, la quale stabilirà autonomamente le regole di ripartizione sui singoli produttori. L’associazione dovrà garantire, però, che la contribuzione richiesta ai produttori rispetti criteri di equità, per tutelare i produttori che non coltivano/producono per il mercato ma semplicemente per autoconsumo o hobbismo. Queste categorie di produttori hanno una grande importanza per la custodia della biodiversità e per la conservazione più in generale dell’ambiente e dei saperi tradizionali legati alla produzione e/o coltivazione.

Partecipare al nuovo progetto significa anche sostenere l’associazione Slow Food nel suo impegno culturale complessivo, non solo nei progetti di solidarietà e tutela della biodiversità. Per questo i singoli produttori dei Presìdi sono anche soci di Slow Food Italia.

 

I due possibili Presìdi di Fiumefreddo

La felciata (in dialetto di Fiumefreddo Bruzio, ‘a filiciata)

E’ una preparazione antichissima, prodotta nel periodo estivo, che rappresenta uno dei più preziosi documenti antropologici del nostro Paese, ed è prodotta nel periodo estivo. Si tratta di una cagliata di latte di capra fresca adagiata su foglie di felci, dalle quali prende non soltanto il nome ma anche l’aroma.

Viene prodotta con latte di capra nel periodo estivo. Latte caprino di una mungitura proveniente da animali allevati al pascolo quando i pascoli conferiscono al latte il meglio in aromi, profumi e sapori. Viene aggiunto un po’ di latte ovino. Il tutto viene filtrato con le felci e poi riscaldato in caldaie di rame a una temperatura di circa 35° C.

Si addiziona poi il caglio di capretto o agnello. Attendendo la coagulazione, si sistemano i rametti delle felci scegliendo i più consistenti. Dopo circa 40 minuti si raccoglie la cagliata con un cucchiaio tipico di legno e si procede al suo trasferimento in secchielli di legno alternando strati di cagliata a strati di felci. Si possono usare anche contenitori di vetro o di terracotta.

Frittata di patate fiumefreddese senza uovo! 

Nonostante sia così chiamata non annovera tra i suoi ingredienti le uova.

 Piatto dell’antica tradizione contadina preparato solo con patate, origano, basilico, aglio, un po’ di peperoncino piccante, un pizzico di farina ed una spolverata di pecorino grattugiato. Era conosciuta come “ U mursieddu” (si prendeva a morsi) i contadini usavano portarla nei campi per colazione insieme al pane e al vino.

 

Grazie al suo basso contenuto di grassi (notevolmente minore rispetto alla carne rossa), il Baccalà, si è meritato il titolo di “Pesce Magro” per eccellenza; questa peculiarità e il suo gusto lo portano ad essere presente nei piatti che proporremo.

Il baccalà

Il baccalà essendo merluzzo ha le caratteristiche  nutrizionali e di facile digestione, tipiche dei pesci, contiene particolari proteine e ricchezza di acidi grassi Omega 3 che riducono il cosiddetto colesterolo “cattivo” ed aumentano quello “buono”Il baccalà contiene il 30-35% di umidità e anch’esso, come lo stoccafisso, va ammollato in acqua per qualche giorno prima del consumo.
Dal punto di vista nutritivo il baccalà, contiene una quantità di proteine superiore a quella della carne bovina, pochi grassi e poche calorie.
L’Italia è il primo consumatore mondiale di baccalà. Noi serviamo baccalà catalano da merluzzi selvatici pescati ad amo e provenienti dall’Islanda.

 La conservazione avviene mediante salgione per lungo tempo, il disciplinare di legge ammette l’aggiunta nel baccalà e nello stoccafisso di anidride solforosa e di solfiti come conservante e sbiancante, nella dose massima di 200 mg/kg. I conservanti possono essere dannosi se assunti in dosi non minime, è bene quindi non eccedere nel consumo a meno di non essere certi della assenza di questi additivi.

Rafols: la tradizione catalana del Baccalà Ràfols è un’impresa familiare che, da oltre 60 anni, si dedica alla preparazione di Baccalà Tradizionale Dissalato. E’ in Islanda che il pregiato merluzzo Atlantico viene pescato ad amo da piccole barche e poi sapientemente sfilettato e stivato in cantina con il sale per almeno 3 mesi. La Rafols seleziona i Baccalà più grandi, solo pezzatura superiore ai 10 kg, che lavorati in modo artigianale, reidratati, dissalati e porzionati a mano vengono confezionati e immediatamente surgelati. La qualità, la selezione l’artigianalità hanno reso nel tempo quello che era “il pesce dell’entroterra”, o “ il pesce dei poveri” uno dei più apprezzati pesci bianchi delle nostre tavole.

 

Proprietà nutrizionali del baccalà

L’acciuga, detta anche alice, è un pesce diffuso in tutto il Mediterraneo, nell’Atlantico e nel Baltico. Simile alla sardina ha un corpo più sottile e affusolato che raggiunge in età adulta i 15-20 cm di lunghezza.
Le acciughe appartengono alla categoria del pesce azzurro con la quale condividono forma, dimensione e colore del corpo. Il dorso delle alici è infatti percorso da una striscia azzurra con sfumature verdi, le scaglie delle parti laterali e del ventre sono argentee.

Le acciughe vivono in branchi, nutrendosi di crostacei e piccoli pesci. Si mangiano fresche o sotto sale, crude o cotte. Molte ricette sono semplicissime, come l’insalata di alici crude, appena sbiancate dal limone e condite con olio, aglio e prezzemolo, o il sugo di alici, ottimo sugli spaghetti e velocissimo: basta friggere le alici con un po’ di olio, pomodorini, aglio e peperoncino o accompagnarle con la mollica di pane. Più complesse, ma sempre basate su pochi ingredienti: le inchiappate (alici aperte, farcite con formaggio caprino, uova, aglio e prezzemolo, infarinate, fritte e cotte nella salsa di pomodoro), le ammollicate (alici spaccate, condite con mollica di pane, aglio, olio e prezzemolo), Le loro carni, sia fresche che conservate, sono particolarmente gustose ed indicate anche per la frittura. Famose sono le alici conservate sott’olio o sotto sale, così come la colatura d’alici utilizzata per insaporire pasta  e pietanze varie.

Un’alice fresca si riconosce dall’odore (delicato e gradevole, non ammoniacale), dall’aspetto (corpo brillante e carni sode con squame aderenti), dal colorito delle branchie (rosaceo tendente al rosso) e dall’occhio (vivo e sporgente, con pupilla nera, non arrossata).

Molto simile alle acciughe ma meno pregiata, l’alaccia viene spesso commercializzata come alice. Per scoprire l’inganno è sufficiente osservare il taglio della bocca che, mentre nelle acciughe si spinge oltre la base dell’orecchio, nell’alaccia non raggiunge l’occhio.
Lo Stocco di Mammola

Stock e fish (dal tedesco bastone-pesce) è il merluzzo artico che vive nel mar di Barents, il Gadus morhua; nel mese di gennaio lascia il suo freddo habitat polare per approdare alle Lofoten e riprodursi proprio nel periodo ideale per l’essiccazione, quando il gelo cede il posto a una miracolosa alternanza di venti, piogge e sole che dà vita allo stoccafisso.

Il procedimento completo per ottenere un ottimo stoccafisso non è dei più semplici; una volta pescato viene aperto seguendo delle regole precise. Il taglio della testa è decisivo per la qualità del futuro stoccafisso; come fondamentale è tagliare le vertebre dorsali perfettamente lungo la sezione dell’arco branchiale.
Nella seconda fase i merluzzi vengono legati a coppie, all’altezza della pinna caudale, con un filo di rete o di canapa. Ancora un lavaggio con acqua di mare e il pesce viene trasferito sulle rastrelliere (stock) esposte ai freddi venti della Norvegia.
Lo stoccafisso è un alimento che, analizzato in forma secca, possiede un’elevatissima concentrazione nutrizionale ed energetica. In realtà, una volta reidratato, lo stoccafisso possiede quantità di macronutrienti energetici sovrapponibili a quelle dell’alimento fresco; per contro, la concentrazione vitaminica e, in parte, anche quella salina, risentono pesantemente del processo di conservazione e reidratazione.
Lo stoccafisso è ricchissimo di proteine ad alto valore biologico, contiene pochi grassi e solo qualche traccia di zuccheri solubili; dal punto di vista salino apporta buone dosi di potassio, mentre, per quel che concerne le vitamine, si evidenzia una buona concentrazione di niacina (vit. PP).
Lo stoccafisso ammollato è un alimento ipocalorico e, contrariamente al baccalà, è contestualizzabile nella maggior parte delle diete e delle dietoterapie. Chiaramente, le preparazioni che prevedono la generosa aggiunta di oli di cottura sono da consumare con la dovuta moderazione, come piatto unico accompagnato a verdure fresche e al massimo a 50g di pane,, preferibilmente integrale o di segale. Lo stoccafisso compare spesso nella lista degli alimenti controindicati nella dieta contro l’ipertensione; in realtà, una volta ammollato presenta un contenuto di sodio piuttosto basso (contrariamente al baccalà, che mantiene elevatissime concentrazioni di sodio anche dopo l’ammollo).

Stoccafisso da http://www.my-personaltrainer.it/alimentazione/stoccafisso.html

Lavorazioni:
Lo stoccafisso approda a Mammola nei primi decenni del 1800, anno in cui si hanno notizie certe. Le balle di stoccafisso, meglio conosciuto al sud come “Stocco”, arrivarono a dorso di mulo dal porticciolo di Pizzo. Qui il pesce secco veniva spugnato con la purissima acqua del luogo, che sgorga dalle numerosi sorgenti montane della catena dell’Aspromonte, ricca di sostanze particolari e diveniva commestibile dopo un ciclo di lavorazione di circa otto giorni con passaggi da una vasca all’altra in acqua corrente. Questo trattamento con l’acqua di Mammola ha dato degli ottimi risultati tant’è vero che con la definizione di “Stocco di Mammola” questo prodotto è entrato a far parte dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (art. 8 D.L. 173/98).

La preparazione dello stoccafisso è piuttosto lunga ma può essere così riassunta:
Battitura: può essere svolta con un pestello di legno ed è necessaria per ammorbidire le fibre del pesce essiccato.
Ammollo: in acqua dolce e fresca per 3-4 giorni, cambiando l’acqua frequentemente o ponendolo in acqua corrente.
Precottura: preceduta dal lavaggio e dall’asciugatura; lo stoccafisso va quindi tagliato, posto in un tegame con acqua fredda e portato ad ebollizione a fuoco lento per 10 minuti.
Cottura specifica della ricetta: variabile a seconda della preparazione, ma lo stoccafisso richiede sempre cotture lunghe e delicate; meglio evitare di mescolarlo e, per girarlo, si scuota la pentola.

Stoccafisso da http://www.my-personaltrainer.it/alimentazione/stoccafisso.html

 

LA STRONCATURA

E’ necessario narrare la storia del noto linguino ruvido. La nascita del linguino si ebbe nella cittadina di Gioia Tauro di fine 800. È importante rilevare che intorno alla fine del 1800 nella Piana di Gioia Tauro, attivissima zona commerciale, dove si riscontra una presenza cospicua di commercianti provenienti dalla stroncaturaCostiera Amalfitana come risulta dall’Annuario d’Italia del 1895.   Gli amalfitani, presenti appunto in tutta la Piana, probabilmente iniziarono a diffondere questo prodotto che originariamente era destinato agli animali. Per motivi igienici venne proibita, ma continuò comunque ad esser venduta in alcune botteghe del posto, quasi come fosse merce di contrabbando. che divenuto dapprima piatto della cucina povera, è oggi un patrimonio culinario di tutta la zona. In alcuni centri pianigiani la “struncatura” vanta un’antica e gloriosa tradizione, e questo la rende appunto “piatto tipico della cucina della Piana”. La tradizione tramanda che i pastifici utilizzavano le scopature di magazzino cioè raccoglievano da terra e i residui misti di farina e crusca delle operazioni di molitura del grano. Successivamente venivano impastati dando luogo ad un tipo di pasta dal colore scuro chiamata, appunto, struncatura che veniva venduta a prezzi molto bassi. Talvolta risultava di sapore molto acido e veniva data in pasto a galline e maiali. Per il suo bassissimo costo veniva consumata dalle classi sociali meno abbienti, e per correggere o attenuare il grado di acidità veniva condita con salse molto piccanti o con acciughe salate.La sua vera storia è raccontata dalle parole dello storico di Gioia Tauro Vittorio Savoia.

“La piazza di Gioia Tauro fu, sempre considerata uno dei massimi caricatoi di olio di tutto il Meridione. Dagli atti del Consiglio Provinciale del 1839 si legge: “Il paese di Gioja è divenuto, per la sua opportunità il luogo ove si fa il maggiore commercio della provincia, tutti i negozianti vi concorrono, e molti di essi vi fanno dimora. Ma trovandosi circondato da acque stagnanti e principalmente da quelle del fiume Budello, che non fluiscono regolarmente, ed in varie parti impaludano, avviene che l’aria ne’ mesi estivi rendesi malsana in tutti que’ contorni”. Nonostante il problema della malaria Gioja era diventato il principale sbocco d’esportazione della provincia. Attratti dall’ottima posizione del sito e prevedendone per l’avvenire un grande sviluppo, molte famiglie di commercianti di stanza del litorale amalfitano pensarono bene di trasferirsi, armi e bagagli, in Gioja e di creare qui i loro traffici. Quei pionieri, appena giunti nella nostra cittadina, alimentarono subito il commercio e diedero la prima spinta ad un rinnovamento completo, per cui è da ascrivere a loro esclusivo merito se Gioja, oltre ed essere il maggiore emporio dell’olio della provincia di Reggio Calabria, divenne in breve volgere di tempo un vero e proprio centro commerciale di generi alimentari ed in particolare della pasta”.

Presenta ottime qualità nutrizionali. Le fibre alimentari di cui è ricca sono ottime alleate per la funzionalità intestinale e nella prevenzione del tumore del colon-retto. Attualmente, la sua ricetta è stata riscoperta e adeguata alla normativa vigente. È prodotta da pochi pastifici artigianali con ingredienti di qualità come il grano duro, segale e la farina integrale. 

 

Proporremo alcuni formaggi, tutti presìdi Slow Food, provenienti dalla Sicilia tra cui il Maiorchino, il Piacentino, la Provola delle Madonie, il Ragusano DOP le cui origini risalgono al XVI secolo. Anticamente detto “scaluni”, perché la sua forma ricorda il gradino di una scalinata, è simbolo della tradizione e della genuinità. La sua pasta si presenta compatta, dal colore bianco tendente al giallo paglierino. Sapore decisamente gustoso, dolce, delicato, poco piccante nei primi mesi di stagionatura, tendente al piccante e al saporito a stagionatura avanzata. Piacentino Ennese DOP Fiore Sicano. Creato dai casari su richiesta di Ruggero il Normanno, XI sec., prodotto da latte di pecora intero con zafferano locale e grani di pepe nero. Unico formaggio molle a pasta cruda, fortemente caratterizzato da muffe autoctone che si insediano durante tutta la stagionatura-Presidio Slow Food – 

L’oliva non è solo olio. Come l’oro verde, la produzione delle tipologie da tavola contiene luci e ombre. Ne vorremmo sapere di più sui metodi di coltivazione e sui tempi di raccolta, assaggeremo le migliori varietà, impareremo come si preparano e si conservano gustando alcune ricette della tradizione italiana.

Il Nero di Calabria è un suino che alla metà degli anni settanta ha rischiato l’estinzione per via della solita corsa al profitto che altri suini provenienti dal Nord Europa garantivano grazie alla facilità d’allevamento e alla velocità d’accrescimento, e per la resa quantitativa a discapito della qualità. hqdefaultIl maiale rosa già dal Novecento anche in Calabria ha preso il sopravvento con allevamenti intensivi che non rispettano il maiale e l’ambiente, con trasformazione di prodotti sempre più industriali, omologati, dannosi per la salute, per l’ambiente e non rispettosi del benessere dell’animale. La carne del Suino Nero contiene un grasso di buona qualità; acidi grassi monoinsaturi e polinsaturi della serie omega-3 e omega-6 sono in misura nettamente superiori nei neri in generale e a maggior ragione essendo allevati all’aria aperta. Le qualità nutrizionali del Nero calabrese gli sono valse la nomina di “Olio d’oliva a quattro zampe”.

Il Suino Nero dei Nebrodi. L’importanza e la tutela della tecnica di allevamento, la particolarità di questi suini, il territorio in cui essi sono allevati, sono stati gli elementi decisivi che hanno fatto nascere il Presidio. Questa razza suina è una delle poche sopravvissute in Italia: di taglia piccola e mantello scuro, caratteristica delle razze suine autoctone italiane, è allevata allo stato semibrado e brado. La sua estinzione sarebbe una grave perdita per il patrimonio genetico, l’economia locale e il piacere gastronomico: il nero dei Nebrodi, infatti, offre carni di altissima qualità.

Monte Poro, altopiano situato nella provincia di Vibo Valentia in faccia al mare, tra la piana di Gioia Tauro e la costa degli Dei, è una delle zone più rinomate in Calabria per la tradizionale produzione di formaggi e insaccati. Realizzati con metodi artigianali e nel rispetto dell’ambiente e degli animali, i prodotti della famiglia Crudo esprimono il meglio della tradizionale pastorizia di Monte Poro. Il latte utilizzato, come il caglio, la carne, il grasso i budelli… provengono esclusivamente da animali allevati in proprio dalla famiglia.

‘Nduja, anche di suino nero, il peperoncino calabrese è la peculiarità di questa salsiccia morbida, dal gusto forte e deciso che noi preferiamo spalmare su bruschette e altro. Il nome deriva dal termine francese andouille, salsiccia appunto.

La nuova tradizione casearia calabrese muove i primi passi a Campora S.Giovanni nell’Azienda Agricola Santanna (www.formaggisantanna.com) dove si trasforma il latte di capra Saanen prodotto nell’annesso allevamento. I formaggi di questa fattoria hanno il sapore deliziosamente speciale di quelle cose buone fatte con tanto amore e passione. Freschi o stagionati che siano, i formaggi Santanna ,  sono un autentico piacere del palato, ed una novità che è stata ben accolta dai  calabresi che per la prima volta si sono imbattuti nei tomini e nelle robioline prodotte direttamente nella loro terra. Con la stessa maestria il caseificio lavora il latte di pecora, per soddisfare il gusto degli amanti del pecorino calabrese, ed anche il latte di mucca. Protagonista di questa realtà, posta al limite della provincia di Cosenza, è la Sig.ra Maria Procopio, Maestra Casara , una calabrese, che dopo una lunga parentesi in Piemonte ha deciso di ritornare.

Azienda Agricola Sant’Anna 

La nuova tradizione casearia calabrese muove i primi passi a Campora S.Giovanni nell’Azienda Agricola Santanna (www.formaggisantanna.com) dove si trasforma il latte di capra Saanen prodotto nell’annesso allevamento. I formaggi di questa fattoria hanno il sapore deliziosamente speciale di quelle cose buone fatte con tanto amore e passione. Freschi o stagionati che siano, i formaggi Santanna ,  sono un autentico piacere del palato, ed una novità che è stata ben accolta dai  calabresi che per la prima volta si sono imbattuti nei tomini e nelle robioline prodotte direttamente nella loro terra. Con la stessa maestria il caseificio lavora il latte di pecora, per soddisfare il gusto degli amanti del pecorino calabrese, ed anche il latte di mucca. Protagonista di questa realtà, posta al limite della provincia di Cosenza , è la Sig.ra Maria Procopio, Maestra Casara , una calabrese del ritorno  che , dopo una lunga parentesi in Piemonte, dove si è formata  all’Istituto Lattiero Caseario di Moretta ( e con esperienze sia in Italia che in Francia), ha sentito forte il richiamo della sua terra  e  , col marito, ha deciso di rientrare ad   Amantea, dove in contrada Mirabella,  nella  campagna ed in mezzo agli uliveti che guardano il mare Tirreno, ha realizzato il suo sogno.  I prodotti  Santanna sono di una bontà unica che sorprende per il gusto leggero, tipico di caprini, e per la felice scoperta che ancora nella dieta odierna si possano introdurre alimenti genuini e salutari, ma anche semplici ed eleganti. L’eccezionale brio dei formaggi  della casara Maria  quest’anno si è spinto persino al Salone del Gusto di Torino all’interno della famiglia di eccellenze calabresi proposta come sempre dall’attentissimo Slow Food. La sig.ra Maria racconta che prima di cimentarsi nella produzione di formaggi ci fu un vero e proprio ‘colpo di fulmine’  per le  caprette Saanen, un razza originaria della Svizzera, diffusa in Italia soprattutto nell’arco alpino, che produce un latte delicato e con pochi grassi, che ha  scoperto in una fiera in Piemonte e che ha deciso subito di acquistare e portare in campagna dove ha cominciato ad allevarle e ‘coccolarle’. In seguito  la presenza costante del buon latte ha dato  l’impulso  al passo successivo (la sua trasformazione) ed al progetto definitivo di allevare le Saanen  e di aprire un caseificio in Calabria. La gamma Santanna comprende formaggi a coagulazione sia acida che presamica, ci sono quelli che possono considerarsi un omaggio al Piemonte, i delicatamente aromatici, le , per poi arrivare alla Formaggella Mirabella apprezzabile sia fresca  che semistagionata e stagionata. La linea comprende  la portentosa  , mix di formaggio di capra e di pecora, ed il derivato interamente da latte di capra e dal gusto leggermente acidulo e fresco. L’ Erborinato è il fiore all’occhiello della casara,  un formaggio dalle caratteristiche uniche e dal sapore deciso e leggermente piccante , a pasta morbida e burrosa che ottiene le sue venature aromatiche grazie all’inoculazione di muffe nobili (Penicillium Rocheforti).  C’è il nobile ufino>  , una ‘pepita’ preziosa stagionata e  ottima  da grattugiare,  che è ottenuta dal formaggio e dalla ricotta sapientemente aromatizzati con essenze naturali, e  freschissimo è il sapore di quella   fatta interamente di latte di capra . Ma la Sig.ra Maria è anche  una casara innovativa a cui piace sperimentare per creare nuove sensazioni di gusto , ed emblematici sono il  formaggio ubriaco fatto con latte caprino fermentato nelle vinacce,  e la caciottina avvolta nelle foglie di fico.

Massimo Ranieri

presidioCapicollo Azze Anca                                                       

Parlare di capicollo grecanico e più precisamente di capicoddho azze anca significa iniziare un viaggio a ritroso nel tempo. Un viaggio che porta in quella parte della provincia di Reggio Calabria conosciuta con il nome di Bovesìa, o area grecanica, compresa tra il basso Jonio reggino e l’Aspromonte.
Qui affondano le radici culturali dei greci di Calabria, la minoranza linguistica ellenofona che ancora oggi costituisce una parte importante della popolazione. In alcuni borghi dell’entroterra –Bova, Gallicianò e Roghudi– ancora oggi alcune persone anziane parlano un dialetto, il greco di Calabria, simile a quello che contadini e pastori locali acquisirono dai greci antichi. La produzione del capicollo di coscia, chiamato in dialetto capicoddho azze anca, ricopriva e ricopre un ruolo di primaria importanza nella norcineria di questo estremo lembo meridionale della regione, dove normalmente il capicollo si produce lavorando la parte superiore del lombo. La lavorazione del capicollo grecanico invece avviene partendo dalla coscia disossata, opportunamente tagliata e divisa. Il capicollo viene ricoperto con sale marino e fatto riposare per tre o quattro giorni al fresco, durante i quali è regolarmente massaggiato. Successivamente il capicollo salato è ripulito e avvolto in sottili veli di grasso, che permettono al salume di mantenere un colore roseo e una morbidezza particolare. Lo si cosparge di peperoncino rosso a scaglie (to pipeddhi), semi di finocchietto selvatico (to màtharo) e pepe nero a mezza grana. A questo punto il salume è pronto per essere insaccato nella vescica naturale, sempre di maiale, imbrigliato in una rete a maglie strette e legato.
La fase delicata e importante della stagionatura si protrae per almeno 180 giorni e avviene secondo il procedimento di un tempo, nei tradizionali catoi, i seminterrati delle aree rurali. Dove i cosiddetti cetti, le piccole finestrelle ricavate nelle porte e nelle finestre più grandi permettevano al vento di tramontana o maestrale di favorirne l’essicazione. Il capicollo azze anca, terminata la fase della stagionatura, ha un colore rosato e profumi intensi, mentre al gusto la sapidità è mitigata dalla dolcezza delle carni e dalle note aromatiche del finocchietto e del peperoncino che non prevarica ma ne accompagna la particolare suadenza.

Per la sua rilevanza storica e per la particolarità della lavorazione, il capicollo azze anca grecanico è entrato di diritto a far parte dei presidi slow food che ne tutelano e ne valorizzano le radici storico-culturali attraverso un disciplinare molto rigido.

 

presidio

Caciocavallo di Ciminà

Ciminà è un comune di 700 abitanti della Locride, il cui territorio ricade nel Parco Nazionale dell’Aspromonte. Il caciocavallo si produce in questa zona da tempi immemorabili. Nella Grecìa calabra, così viene definita l’area ellenofona che fa capo genericamente alla Bovesia, molti nomi di località hanno radici nella Grecia antica: il nome stesso di Ciminà deriva dal greco kyminà, ovvero luogo dove abbonda il cumino selvatico o ciminaia. La colonizzazione ellenica riguardò anche i Balcani si ritiene che queste terre siano state potentemente contaminate anche da influenze balcaniche. Com’è ormai certo, il caciocavallo trova infatti il suo antenato nel kaskaval, una pasta filata prodotta ancora oggi dalla Macedonia alle isole dell’Egeo, la cui origine ci porta direttamente alle popolazioni nomadi della steppa. Si fanno buoni caciocavalli in tutta la Calabria, o meglio in tutto il sud Italia, e la tecnica è più o meno la stessa per tutti, ma la differenza la fanno i pascoli, i climi, le mani dei casari. A Ciminà, ad esempio, il caciocavallo si fa a due testine, è un formaggio piccolo, allungato, caso unico nel panorama caseario, anche se non è citato espressamente con questo nome su nessuna pubblicazione di settore. Ma si lavora anche nella forma ovoidale classica. Il peso va da 400 grammi a 3 chilogrammi. Questo formaggio ha un’altra particolarità: si coagula ancora il latte crudo, di vacca e a volte anche parzialmente di capra, quasi sempre con caglio naturale di capretto. Una volta rotta con lo spino la cagliata, che i pastori chiamano tuma, si formando coaguli grandi quanto una nocciola che si raccolgono e compattano, facendo fuoriuscire il siero. Questa massa viene lasciata fermentare anche più giorni, secondo l’andamento climatico, e poi tagliata a fette e filata nell’acqua bollente. Infine si passano le forme nella salamoia per un giorno circa e si appendono poi ad asciugare a cavalcioni della tradizionale pertica.

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 Le realtà produttive come ad esempio quella di Anna Brambilla (L’Arca di Belvedere), di Maria Procopio, di Franco De Franco, della famiglia Viola, della famiglia Arcuri, della famiglia Crudo… sono veri e propri presìdi, punto di partenza per un futuro di sviluppo centrato sull’agricoltura sostenibile, su cibo e vino agricolo, in un territorio sempre più soggetto agli appetiti della speculazione, sempre più affollato di capannoni e cemento…

Vorremmo dare voce a un’idea di futuro che non ripudia il passato e mantiene un rapporto armonico con l’equilibrio naturale di un territorio ancora bellissimo, da cui potrebbe svilupparsi un’alleanza tra produttori, ristoratori e consumatori, finalizzata alla nascita di una sana Comunità del Cibo.

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