Il Cibo di strada

Il classico street food fiorentino ha grande successo sui banchi dei trippai: il panino con il lampredotto (“gala” e “spannocchia”, stomaco del bovino) è un’istituzione per turisti e residenti. Si serve  con sale e pepe, con salsa verde oppure olio piccante.  A Palermo, capitale europea del cibo di strada,  al quinto posto nel mondo, secondo la rivista americana Forbes, dopo Bangkok, Singapore, Penang e Marrakech, non tramonta il leggendario pani câ meusa: milza (e qualche volta polmone) di vitello lessata e ripassata nella sugna e condita con ricotta salata.  Nella tradizione padana (e non solo) il quinto quarto è di maiale: a Isola Dovarese , in provincia di Cremona, si festeggia il Carnevale con frattaglie, fegato, cuore, piedi, cotiche, lingua, reni cucinati in piazza, mentre a Bergamo Alta,  la coda di manzo viene servita con insalatina di germogli  e petali di fiori, la lingua con gelato al cetriolo ed extravergine calabrese. In origine pajata e ritagli costituivano a Roma  il piatto  degli “scortichini”, gli operai del  mattatoio di Testaccio: la loro paga giornaliera era di un soldo più un sacchetto contenente gli scarti delle carni macellate (interiora, zampe, lingua).  Gli osti del rione li trasformavano in pietanze caserecce con cui gli operai potevano sfamare le famiglie. Ma le frattaglie diventano presto  un piatto gourmet da dopoteatro: all’uscita del Valle andavano tutti a mangiare trippa e cervello di agnello al Falcone, in piazza Sant’Eustachio, antica trattoria citata dal Belli nei suoi sonetti. Lo scrive nel 1841 l’erudito viaggiatore Antoine Claude Pasquin (noto con lo pseudonimo Valery) in “L’Italie confortable”.  Una Roma sparita in cui gli abitanti dei rioni si distinguevano con il nome delle interiora: “ I Trasteverini erano chiamati Magnaventricelli, quelli che popolavano la zona vicino al Tevere erano Magnafritto e Corata, i Regolanti, insediati nel rione Regola di fronte a Trastevere, sulla riva sinistra del fiume, erano canzonati come Magnacode, riconoscendo loro la priorità sull’usanza di cucinare la coda”, racconta Lejla Mancusi Sorrentino nel libro “Er mejo de la cucina romana”.

U Morzeddhu

Le origini del Morzello sono da ricercarsi a Catanzaro e provincie tra le cittadine di Catanzaro, Tiriolo e Taverna anche se il nome della pietanza deriva dallo spagnolo “al muerzo”. La leggenda  del Morzello narra che una donna di nome Chicchina, dopo aver perso il marito ed essere rimasta sola con i suoi figli dovette adattarsi a fare i lavori più umili per tirare avanti. Nel periodo di Natale, la donna fu chiamata a pulire il cortile dove venivano macellati gli animali e a raccogliere le frattaglie da smaltire . Poiché versava in una condizione di miseria, si avvicinava la vigilia di Natale e non sapeva cosa preparare per il pranzo di Natale, per cui decise di pulire per bene tutte le frattaglie per farne una “zuppa di carne” e la chiamò così perché la carne è tagliata in piccoli pezzi (in dialetto catanzarese “morzha morzha”).

Gli ingredienti più antichi di questo piatto sono: il cuore di vitello , i polmoni, la milza, il fegato, lo stomaco, la trippa e  l’intestino ( non  più utilizzato perché per essere pulito alla perfezione richiede particolari procedimenti ed esperienza), concentrato di pomodoro, peperoncini piccanti, sale, origano, e alloro. Può essere servito , come vuole la tradizione, nella morbidissima pitta detta “a ruota di carro” (pane casereccio di forma circolare con una circonferenza interna abbastanza ampia, cosi che il pezzo tagliato risulti lungo e stretto). La pitta catanzarese è probabile derivi dalla “pita” (in Ebraico פִּתָּה o פיתה, in Arabo كماج , in Greco πίτα) un tipo di pane piatto lievitato e rotondo. La pita, insieme ad altri tipi di pani piatti è un cibo tradizionale delle cucine del Medio Oriente e del Mediterraneo e si ritiene abbia avuto origine nell’Antica Siria. Nei dizionari italiani il termine “pita” è comparso nella seconda metà del ‘900, con riferimento soprattutto alla cucina greca e a quella araba. Sebbene alcuni linguisti facciano derivare la parola dal greco moderno che significa “torta”, “dolce” oppure “pane”, altri pensano derivi dall’ebraico פת (pat), che significa “pagnotta” o “pezzetto”. Infatti la parola “pita” (פיתא), esiste ancora nell’aramaico del Talmud babilonese ed indica il pane in generale.

Il morzello

Ingredienti (1kg per 4/6 persone)
Trippa: 200 gr. tra Rumine, Abomaso e Reticolo – 400gr. di Omaso (cosiddetto “Centupezzi”)
Altre interiora di vitello: 200 gr. tra Esofago, Polmone, Milza e Cuore (facoltativo)
Carne di vitello: 200gr di pancia
Condimento: 200 grasso animale
Sugo: 100 gr. di concentrato di pomodoro e 1,5 litri di conserva di peperone
Aromi: alloro, origano, peperoncini piccanti calabresi
Sale: q.b. da mettere a fine cottura

Preparazione:

Pulire con  accuratezza la trippa con acqua tiepida quindi unirla al “Centupezzi”, lessare per 15 minuti, estrarre gli ingredienti dall’acqua e tagliarli in piccoli pezzi.
Porre tutti gli ingredienti (esclusa la milza che verrà bollita separatamente ed aggiunta quindici minuti prima della fine della cottura) ed il grasso animale in una pentola abbastanza grande in modo che gli stessi occupino circa un quarto della sua altezza, quindi, aggiungere contemporaneamente ed amalgamare il concentrato di pomodoro (salsa densa) e la conserva di peperone e soffriggere il tutto con molta cura. Aggiungere dell’acqua fino a raggiungere quasi il bordo della pentola, una ricca quantità di peperoncini piccanti calabresi, alcune foglie di alloro e un mazzetto di origano.
Avviare la cottura a fuoco  lento con coperchio semi aperto per almeno sei ore, mescolando di tanto in tanto con un cucchiaio di legno; il morzello sarà pronto quando il condimento riaffiorerà in superficie e gli ingredienti potranno essere infilzati con la forchetta..
Servire ben caldo nella pitta (caratteristico e tradizionale pane  a forma di ciambella) tagliata a pezzi  aperti a libretto, imbevuta di sugo alle estremità.
Una variante può essere preparare un soffritto con olio e peperoncino, aggiungere tutti gli ingredienti e farli soffriggere a fuoco lento, dopo circa dieci minuti aggiungere del vino rosso e il grasso e infine il concentrato,  la conserva di pomodoro, l’alloro, il sale e lasciare cuocere per almeno sei ore. Per girare il morzello utilizzare il mazzetto di origano.

Il morzello va consumato con la Pitta che è un particolare pane morbidissimo dalla tipica forma a ruota di carro.

LA PITTA:

Ingredienti:

500 gr farina semintegrale
350 gr acqua tiepida
12 gr lievito (mezzo cubetto circa)
30 gr olio extra vergine di oliva
1 pizzico di sale (metterlo nella farina prima di impastare il resto)

Preparazione:

Sciogliete il lievito nell’acqua tiepida, versatelo sulla farina disposta a fontana e mescolate, aggiungete il sale e l’olio, mescolate ancora e impastate per circa 10 minuti, fino a quando non avrete ottenuto una pasta omogenea, liscia ed elastica.

Riponete l’impasto in una terrina oliata, copritela con un panno e fate lievitare per 4-5 ore. Trascorso questo tempo, riprendete l’impasto, sgonfiatelo e dategli la forma di una ciambella, poi copritela con un panno e fatela rilievitare per circa 2 ore.

A questo punto, adagiate la ciambella su una teglia foderata con carta da forno e infornate, in forno pre-riscaldato a 200 gradi per 20 minuti, o fino a quando la superficie della pitta non sarà ben dorata. Una volta ben cotta, lasciatela raffreddare, poi tagliatela orizzontalmente e farcitela con il morzello.

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