Per chi ama il Bello sotto il segno del Buono e del Sano
“Promuovere e valorizzare il territorio con i suoi prodotti, promuovere e valorizzare i prodotti con il territorio”, questa è la proposta. Non una banale e semplice enobirreria ma un luogo, dove territorio e artigiani del cibo insieme, contribuiscono in maniera sostenibile e innovativa a salvare il cibo buono, sano e “mangiari” insieme.
ASPETTANDO BACCO e NON SOLO:
- Frittata di patate di Fiumefreddo con patate silane Dop,
- Parmigiana di melanzane, di zucchine, caponata, polpette di melanzane,
- Friselle con pomodori di Belmonte, olive, capperi, alici di Cetara e cipolla di Tropea,
TRA UN BICCHIERE E L’ALTRO
Formaggi calabresi
- Pecorino del Monte Poro, fresco, semi stagionato, stagionato (piatto con 3 formaggi)
- Caprini dell’Azienda Santanna di Anna Procopio (piatto con 5 formaggi)
- Caciocavallo di Ciminà (Presidio Slow Food)
- Piatto misto: i formaggi vengono serviti abbinati a una vellutata di peperoncino
Salumi calabresi
Salumi del Territorio provenienti da Nero di Calabria compreso Capicollo grecanico e il Gammune di Belmonte
- Piatto misto: i salumi vengono serviti abbinati a melanzane e cipolle
Dolce
- Vero tartufo artigianale di Pizzo
- Dolce della casa
La Bottega “Saperi e Sapori”… per cibarsi e bere… uno stile di vita… un’idea … un territorio!
Con “Percorsi di saperi e sapori” ideata dall’Associazione “ledonnescelgono”; eventi sul libro, degustazione di vini bio, birre artigianali, promozione e valorizzazione dei prodotti d’eccellenza e artigianali.
La Bottega e A Piazzetta si propongono, con spirito mutualistico, di assicurare la promozione, produzione e commercializzazione al minuto di prodotti alimentari, artigianali e simili provenienti da aree svantaggiate ed in parte dalle cooperative sociali e da altre organizzazioni non profit; e di altri prodotti provenienti da agricoltura biologica e da piccoli produttori solidali le cui condizioni di produzione siano state, comunque, eque per i produttori, rispettose dell’ambiente e senza lo sfruttamento da parte di uomini su altri uomini. La Bottega, A Piazzetta, ConVivio e la Residenza Vicogranatello svolgeranno attività finalizzate alla realizzazione di un modello di turismo sostenibile alternativo non basato sullo sfruttamento indiscriminato delle risorse ed attento ai cicli ecologici
Il cibo da strada
Il classico street food fiorentino ha grande successo sui banchi dei trippai: il panino con il lampredotto (“gala” e “spannocchia”, stomaco del bovino) è un’istituzione per turisti e residenti. Si serve con sale e pepe, con salsa verde oppure olio piccante. A Palermo, capitale europea del cibo di strada, al quinto posto nel mondo, secondo la rivista americana Forbes, dopo Bangkok, Singapore, Penang e Marrakech, non tramonta il leggendario pani câ meusa: milza (e qualche volta polmone) di vitello lessata e ripassata nella sugna e condita con ricotta salata. Nella tradizione padana (e non solo) il quinto quarto è di maiale: a Isola Dovarese , in provincia di Cremona, si festeggia il Carnevale con frattaglie, fegato, cuore, piedi, cotiche, lingua, reni cucinati in piazza, mentre a Bergamo Alta, la coda di manzo viene servita con insalatina di germogli e petali di fiori, la lingua con gelato al cetriolo ed extravergine calabrese. In origine pajata e ritagli costituivano a Roma il piatto degli “scortichini”, gli operai del mattatoio di Testaccio: la loro paga giornaliera era di un soldo più un sacchetto contenente gli scarti delle carni macellate (interiora, zampe, lingua). Gli osti del rione li trasformavano in pietanze caserecce con cui gli operai potevano sfamare le famiglie. Ma le frattaglie diventano presto un piatto gourmet da dopoteatro: all’uscita del Valle andavano tutti a mangiare trippa e cervello di agnello al Falcone, in piazza Sant’Eustachio, antica trattoria citata dal Belli nei suoi sonetti. Lo scrive nel 1841 l’erudito viaggiatore Antoine Claude Pasquin (noto con lo pseudonimo Valery) in “L’Italie confortable”. Una Roma sparita in cui gli abitanti dei rioni si distinguevano con il nome delle interiora: “ I Trasteverini erano chiamati Magnaventricelli, quelli che popolavano la zona vicino al Tevere erano Magnafritto e Corata, i Regolanti, insediati nel rione Regola di fronte a Trastevere, sulla riva sinistra del fiume, erano canzonati come Magnacode, riconoscendo loro la priorità sull’usanza di cucinare la coda”, racconta Lejla Mancusi Sorrentino nel libro “Er mejo de la cucina romana”.
U Morzeddhu
Le origini del Morzello sono da ricercarsi a Catanzaro e provincie tra le cittadine di Catanzaro, Tiriolo e Taverna anche se il nome della pietanza deriva dallo spagnolo “al muerzo”. La leggenda del Morzello narra che una donna di nome Chicchina, dopo aver perso il marito ed essere rimasta sola con i suoi figli dovette adattarsi a fare i lavori più umili per tirare avanti. Nel periodo di Natale, la donna fu chiamata a pulire il cortile dove venivano macellati gli animali e a raccogliere le frattaglie da smaltire . Poiché versava in una condizione di miseria, si avvicinava la vigilia di Natale e non sapeva cosa preparare per il pranzo di Natale, per cui decise di pulire per bene tutte le frattaglie per farne una “zuppa di carne” e la chiamò così perché la carne è tagliata in piccoli pezzi (in dialetto catanzarese “morzha morzha”).
Gli ingredienti più antichi di questo piatto sono: il cuore di vitello , i polmoni, la milza, il fegato, lo stomaco, la trippa e l’intestino ( non più utilizzato perché per essere pulito alla perfezione richiede particolari procedimenti ed esperienza), concentrato di pomodoro, peperoncini piccanti, sale, origano, e alloro. Può essere servito , come vuole la tradizione, nella morbidissima pitta detta “a ruota di carro” (pane casereccio di forma circolare con una circonferenza interna abbastanza ampia, cosi che il pezzo tagliato risulti lungo e stretto). La pitta catanzarese è probabile derivi dalla “pita” (in Ebraico פִּתָּה o פיתה, in Arabo كماج , in Greco πίτα) un tipo di pane piatto lievitato e rotondo. La pita, insieme ad altri tipi di pani piatti è un cibo tradizionale delle cucine del Medio Oriente e del Mediterraneo e si ritiene abbia avuto origine nell’Antica Siria. Nei dizionari italiani il termine “pita” è comparso nella seconda metà del ‘900, con riferimento soprattutto alla cucina greca e a quella araba. Sebbene alcuni linguisti facciano derivare la parola dal greco moderno che significa “torta”, “dolce” oppure “pane”, altri pensano derivi dall’ebraico פת (pat), che significa “pagnotta” o “pezzetto”. Infatti la parola “pita” (פיתא), esiste ancora nell’aramaico del Talmud babilonese ed indica il pane in generale.